2 Consulenze:

1 - Separazione e calcolo dell'indennità spettante alla moglie collaboratrice nell'impresa familiare





Buonasera vorrei sapere come suddividere in maniera corretta gli alimenti che mi verserà mio marito dopo la separazione che ammontano ad euro 2.900,00 mensili
Abbiamo 2 figli e io lavoro part time con stipendio netto euro 830,00/mensili
Considerando che la mia quota sarà gravata di irpef vorrei inserire una quota equa ma non troppo alta e sapere però se varrà come base di partenza per eventuale assegno di divorzio

 

RISPOSTA



Escludo che la quantificazione del mantenimento mensile, effettuata in sede di separazione, possa poi essere utilizzata quale base di partenza per la determinazione dell'assegno divorzile.
L'assegno di mantenimento, stabilito in sede di separazione, considera il menagé familiare, in quanto il vincolo coniugale non è ancora definitivamente sciolto.
L'assegno divorzile prende invece in considerazione maggiormente le potenzialità reddituali del coniuge economicamente debole. In sede di divorzio, concretamente, il giudice potrebbe chiederti per quale motivo non svolgi un'attività a tempo pieno, in modo da incrementare il tuo reddito mensile; in sede di separazione invece, il giudice si limiterebbe a constatare che il nucleo familiare si è organizzato, prevedendo che la madre-moglie abbia più tempo da dedicare ai figli ed agli adempimenti … il giudice della separazione ne prende semplicemente atto!



Inoltre in questo mese abbiamo sciolto anche impresa famigliare ex art 230 bis e ho ceduto le mie quote del 20%. Nulla mi e' stato versato da mio marito per dette quote e il notaio ha indicato che rimango a credito del valore, incrementi e avviamento azienda

 

RISPOSTA



Cosa prevede l'articolo 230 bis del codice civile. Il familiare che presta in modo continuativo la sua attività di lavoro nella famiglia ha diritto “altresì” agli incrementi dell'azienda, anche in ordine all'avviamento, in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato. Il diritto di partecipazione all'azienda familiare può essere liquidato in danaro alla cessazione, per qualsiasi causa, della prestazione del lavoro, ed altresì in caso di alienazione dell'azienda. Il pagamento può avvenire in più annualità, determinate, in difetto di accordo, dal giudice.

Art. 230 Bis del codice civile - Impresa familiare.
Salvo che sia configurabile un diverso rapporto, il familiare che presta in modo continuativo la sua attività di lavoro nella famiglia o nell'impresa familiare ha diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia e partecipa agli utili dell'impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell'azienda, anche in ordine all'avviamento, in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato. Le decisioni concernenti l'impiego degli utili e degli incrementi nonché quelle inerenti alla gestione straordinaria, agli indirizzi produttivi e alla cessazione dell'impresa sono adottate, a maggioranza, dai familiari che partecipano all'impresa stessa. I familiari partecipanti all'impresa che non hanno la piena capacità di agire sono rappresentati nel voto da chi esercita la potestà su di essi.
Il lavoro della donna è considerato equivalente a quello dell'uomo.
Ai fini della disposizione di cui al primo comma si intende come familiare il coniuge, i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo; per impresa familiare quella cui collaborano il coniuge, i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo.
Il diritto di partecipazione di cui al primo comma è intrasferibile, salvo che il trasferimento avvenga a favore di familiari indicati nel comma precedente col consenso di tutti i partecipi. Esso può essere liquidato in danaro alla cessazione, per qualsiasi causa, della prestazione del lavoro, ed altresì in caso di alienazione dell'azienda. Il pagamento può avvenire in più annualità, determinate, in difetto di accordo, dal giudice.
In caso di divisione ereditaria o di trasferimento dell'azienda i partecipi di cui al primo comma hanno diritto di prelazione sull'azienda. Si applica, nei limiti in cui è compatibile, la disposizione dell'articolo 732.
Le comunioni tacite familiari nell'esercizio dell'agricoltura sono regolate dagli usi che non contrastino con le precedenti norme



Il titolare quale promotore finanziario era mio marito io svolgevo attività di piccola amministrazione ed ero collaboratrice famigliare dal 2009, fino al 2016 con quota al 49% dal 2016 con quote al 20%.mai percepito stipendi o utili
Su che basi di calcolo potrei avere un Idea del valore di questo 20%
Grazie Saluti

 

RISPOSTA



La base di partenza per il calcolo della liquidazione del diritto di partecipazione, è lo stato patrimoniale dell'azienda, redatto in sede di bilancio di liquidazione finale.
Nello stato patrimoniale è indicato il valore (non ancora ammortizzato) dei beni materiali (immobili e mobili) ed immateriali (avviamento, marchi, brevetti etc etc); hai diritto al 20% del valore dei beni indicati nello stato patrimoniale dell'ultimo bilancio.
Hai diritto al 20% degli incrementi aziendali, verificatisi negli ultimi dieci anni di attività. Ad esempio, se l'avviamento nel 2009 era pari a 50.000 euro, mentre nel 2016 è pari 70.000 euro, ti spetta il 20% dell'incremento dell'avviamento pari a 20.000 euro (ossia 4.000 euro).
Riguardo gli utili non corrisposti, occorre prendere i conti economici dei bilanci degli ultimi dieci anni. Gli utili sono indicati nel conto economico del bilancio aziendale.
Un esempio? Utili del 2016: euro 10.000.
Il 20% degli utili è pari a 2.000 euro.
Consiglio di portare i bilanci degli ultimi dieci anni dal commercialista.
La prescrizione del diritto è decennale, ai sensi dell'articolo 2946 del codice civile.

Ai fini della quantificazione del mantenimento mensile, ho necessità di conoscere il reddito annuo lordo di tuo marito.

A disposizione per chiarimenti.

Cordiali saluti.

2 - Esempio di calcolo mantenimento figlia, padre lavoratore dipendente con mutuo a carico, accordo tra genitori, affidamento condiviso.





Buonasera, Il mio compagno è padre di una bambina di che vive con la madre che non percepisce alcun reddito.
Il mio compagno, lavoratore dipendente, percepisce uno stipendio di circa 1450 euro mensili ed è proprietario dell’abitazione in cui viviamo sulla quale sta pagando il mutuo (circa 450 euro mensili). Provvede alle spese mediche e straordinarie della figlia al 100 % Al momento eroga come mantenimento 300 euro mensili + le spese di cui sopra.
La figlia sta con il padre due/tre giorni alla settimana.
Non essendosi mai rivolti ad un giudice per un accordo, vorrei sapere se tale cifra è idonea o potrebbe essere oggetto in futuro di un'eventuale rivalsa della madre.
Saluti

 

RISPOSTA



L'importo del mantenimento è adeguato per i seguenti motivi.
Secondo le tabelle ed i modelli giurisprudenziali attualmente utilizzati dai tribunali italiani per il calcolo dell'assegno mensile di mantenimento spettante ai figli, l'obbligo a carico del genitore dovrebbe essere pari ad una frazione del reddito percepito da 1/4 ad 1/3, a seconda delle seguenti circostanze:

-assegnazione della casa familiare al genitore affidatario con prevalenza della prole
-eventuali oneri a carico del genitore obbligato, come ad esempio la rata del mutuo

Ragioniamo secondo la peggiore delle ipotesi possibili per il tuo compagno.
La quota di 1/3 del suo reddito mensile è pari a 483 euro.
Tuttavia, la figlia trascorre con suo padre, circa due o tre giorni alla settimana; il padre provvede quindi direttamente al mantenimento della figlia, per due/tre giorni la settimana.
Occorre procedere con una proporzione lineare di primo grado

483 euro : 7 giorni = x : 4,5 giorni

x (importo assegno mantenimento mensile in favore del figlio minore) = 310 euro

Se consideriamo inoltre l'onere della rata del mutuo (non lo abbiamo considerato ai fini del calcolo), l'integrale onere delle spese straordinarie a carico del padre (le spese straordinarie dovrebbero essere imputate alla madre, seppure in minima percentuale), possiamo affermare con certezza che l'importo del mantenimento pari a 300 euro mensili, è più che idoneo ed adeguato ai parametri di legge, ossia

– le esigenze attuali del figlio minore;
– il tenore di vita goduto dal figlio durante la convivenza con entrambi i genitori;
– i tempi di permanenza settimanali presso ciascun genitore;
– le risorse finanziarie dei genitori;

L'art. 337 septies del codice civile prevede che il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico. Tale assegno, salvo diversa determinazione del giudice, è versato direttamente all'avente diritto.

A disposizione per chiarimenti.

Cordiali saluti.

Fonti:

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